Policy Making Partecipato: un patto per il cambiamento
La mobilità è un sistema complesso che in Italia è organizzato ancora attorno la presenza e l’uso (abuso?) dell’automobile.
I problemi delle nostre città sono quindi da decenni sempre gli stessi: aria inquinata, congestione da traffico, spazio pubblico occupato, incidentalità, rumore, stress.
Cosa ci porta dunque a continuare a perseguire un sistema di mobilità superato e soprattutto inefficiente è una domanda che richiede molteplici risposte: cultura, abitudine, mancanza di un’alternativa attrattiva, inerzia delle amministrazioni, interessi economici, bombardamento pubblicitario che “vende” l’auto come conquista di libertà (mostrare l’auto bloccata tangenziale all’ora di punta non sembra piacere ai pubblicitari!)
Ne parla su “L’Extraterrestre” Francesca Ciuffini, esperta e advocate di mobilità sostenibile, che fa un’analisi sistemica del problema allo scopo di individuare un “Policy Making Partecipato con i cittadini”, in cui siano condivisi presupposti e strategie, per ottenere risultati nell’interesse di tutti, anche a favore di chi deve usare l’auto per necessità.
Il nostro modo di muoverci si basa su un giro vizioso che sembra non risolversi, per questo non basta ragionare su un singolo intervento urbanistico o trasportistico, serve piuttosto un’analisi generale che metta in luce i meccanismi che regolano le nostre abitudini e gli attori che insieme alle amministrazioni vanno coinvolti nel cambiamento:
le aziende (con la premialità sulla mobilità attiva, incentivi agli abbonamenti, parcheggi bici e docce negli uffici); la scuola (con la mobility education); la sanità (in che modo una città con meno auto è anche prevenzione primaria?); la società civile (con l’impegno di contribuire al cambio culturale che la mobilità sostenibile richiede); cinema e pubblicità che non continuino a mostrare l’auto come conquista di libertà.
E’ un lavoro di squadra da cui nessuno di noi può chiamarsi fuori. Farlo però è più facile se si hanno davanti tutti gli elementi del puzzle per trasformare il problema in un modello virtuoso. Capire come togliere il primo mattone ad un castello senza farlo crollare ma anzi renderlo più solido è l’obiettivo necessario per uscire dalla mobilità “del secolo scorso”.
Leggi l’articolo integrale di seguito:
Dalla libertà di spostarsi in automobile alla libertà di poterne fare a meno – di Francesca Ciuffini
Libertà negate – Nel traffico si vive male e si può morire. Gli “incidenti” – prima causa di morte tra gli adolescenti – sono una emergenza nazionale. Le emissioni mettono a rischio la salute nostra e del pianeta. La congestione brucia tempo di vita ed efficienza produttiva. L’aria irrespirabile, la congestione, lo stress, il rumore compromettono la vivibilità delle città. lo spazio occupato dalle auto, anche ferme, priva le persone dello spazio per la vita, i ragazzini dello spazio del gioco e della socialità. Mobilità insostenibile. Per tutti. Eppure, difronte alle soluzioni di mobilità alternativa a questa primazia dell’auto spesso nasce la contrapposizione. Ciclabili, zone a 30 km/h o corsie preferenziali per il mezzo pubblico: che cosa spinge a osteggiarle in nome della libertà di spostarsi con la propria automobile, quando questa è oggi spesso negata dalle stesse auto? Libertà di stare intrappolati, meglio dire, quando in tanti vogliono esercitare questo diritto di massa e trovare anche un parcheggio, una volta arrivati.
La dipendenza dall’auto – Il punto è che le nostre città soffrono di una profonda dipendenza dall’auto privata, creata dalla stessa auto, che ne ha modificato estensione, forma e compattezza, alterando il rapporto di prossimità preesistente (si pensi alle periferie disperse e ai centri commerciali). Intorno all’auto si sono plasmate anche le abitudini collettive e individuali, le organizzazioni di vita e le abitudini familiari: la si possiede perché non è concepibile farne a meno e avendola si scelgono destinazioni lontane o raggiungibili solo in auto. Si sceglie di usare l’auto perché ci sono troppe auto: perché rischiare la vita andando a piedi o in bici oppure usare un autobus che si deve aspettare a lungo per poi stare intrappolati nel traffico? Insomma, un cane che si morde la coda: come uscirne?
Elettrifichiamo la dipendenza: e la congestione? – L’equazione trasporto sostenibile uguale auto elettrica rischia di portare fuori strada. Nasce all’interno dello stesso paradigma auto centrico: le auto inquinano? Facciamole diventare meno inquinanti. Ma la limitatezza dello spazio urbano rimane e l’invivibilità delle città pure. Una congestione elettrificata rimane pur sempre congestione e lo stesso vale per gli incidenti che, anzi, a causa del minore rumore delle auto (cosa positiva senz’altro) avrebbero come contro altare una loro maggiore pericolosità. Resta pure – e si aggrava per il maggiore costo – l’insostenibilità sociale di una parte di popolazione o di territori che senz’auto sono esclusi dalla mobilità e dall’accessibilità alle funzioni primarie. Ciò non significa che non serva anche l’elettrificazione, ma che da sola potrebbe non bastare per centrare l’obiettivo della decarbonizzazione, né tantomeno quello di avere città più vivibili, sicure efficienti ed eque.
Si può ridurre la dipendenza dall’auto di proprietà – Si può invece cercare di invertire il circolo vizioso che ha portato a questa dipendenza, riducendo la necessità di doverla necessariamente possedere e usare, migliorando la convenienza ad usare le alternative, se ce ne sono, o creandole dove non ce ne sono. Non solo Improve, quindi, come dicono gli addetti ai lavori, per sintetizzare la strategia di miglioramento dell’efficienza emissiva dei veicoli, ma anche Shift (Modale), cioè trasferimento dall’auto alla mobilità attiva e mezzo pubblico e anche Avoid, cioè riduzione del numero di spostamenti (es. con remote working) e della loro distanza (politiche di prossimità).
I vincoli delle persone sono i vincoli allo shift modale – Chi va in auto lo può fare per necessità, come in una periferia priva di trasporto pubblico, marciapiedi per camminare o illuminazione, oppure per convenienza rispetto ad una alternativa esistente ma poco attrattiva – come un bus poco frequente, affollato e lento. Ma anche per abitudine ad usarla o per condizionamenti interni, cioè a prescindere dalle alternative. Oggettivi o psicologici che siano, i vincoli delle persone sono il vero ostacolo allo shift modale e sono chiave interpretativa per definire le azioni per rimuoverli nella responsabilità dei soggetti chiamati alle scelte sistemiche: disegno della città che limiti la dispersione territoriale, politiche di trasporto e risorse finanziarie per aumentare la convenienza delle alternative, a partire dalle risorse per il trasporto pubblico, visto oggi come costo più che beneficio e investimento per la collettività. Ma anche altri soggetti esterni al policy making possono fare la loro parte: le aziende (con la premialità sulla mobilità attiva, incentivi agli abbonamenti, parcheggi bici e docce negli uffici), la scuola (con la mobility education e zaini meno pesanti), la sanità (in che modo una città con meno auto è anche prevenzione primaria?) e infine un cinema e una pubblicità meno autocentrici.
I possibili circoli virtuosi – La mobilità è un sistema complesso in cui le scelte individuali retroagiscono a loro volta sulle scelte degli altri e viceversa. Questo fa sì che possano attivarsi circoli viziosi come oggi, verso la dipendenza dall’auto, o al contrario straordinari circoli virtuosi che possano progressivamente liberarcene. Se aumenta la frequenza del trasporto pubblico e più persone lo usano, togliamo auto dalle strade e più persone possono andare in bici: via altre auto dalle strade e meno posti occupati sul mezzo pubblico per chi viene da più lontano. Autobus più veloci possono fare più corse a parità di flotta: diventano più frequenti, più attrattivi, più efficienti e riparte il giro. L’auto ricondotta ad un uso marginale può rendere più conveniente usarla in sharing piuttosto che possederla e questo significa anche meno auto in sosta. Circoli virtuosi, insomma, tra politiche “pull”, che potenziandosi reciprocamente rendono sostenibili le politiche “push” che, al contrario, mettono vincoli all’auto (su sosta e circolazione). Le seconde, senza le prime sono foriere di inequità e dissenso (vedi fascia verde a Roma).
Un Policy Making partecipato per costruire la libertà di muoversi anche senz’auto – Vedere i vincoli delle persone consente di trasformare il giudizio su chi usa l’auto in una strategia complessiva di azioni per rimuoverli, le buone intenzioni in azioni per i risultati. Consente di verificare fin dove si riesce ad arrivare sulla base delle risorse disponibili, negoziandole verso l’alto a seconda degli specifici obiettivi da raggiungere, definire i criteri con cui si potrà valutare nel tempo se la strategia sta funzionando. Consente di condividere con i cittadini obiettivi, strategie e risultati di cambiamento che si vogliono ottenere, mostrare i circoli virtuosi a favore di tutti, anche di chi è costretto a usare l’auto: un accordo sugli scopi per evitare lo scontro sulle soluzioni. Il presupposto è che questo sistema di mobilità, con l’esercizio di massa della libertà di spostarsi in automobile nega se stesso. Possiamo continuare a non far nulla o a provare ad invertire la rotta. E magari scoprire che il vero privilegio, la vera libertà è poter vivere liberi dall’auto. Libertà di poterne fare a meno.
Francesca Ciuffini – esperta e advocate di mobilità sostenibile. Vive a Roma senza automobile
Leggi l’articolo in pdf da L’Extraterrestre (Inserto de Il Manifesto del 1 giugno 2023)